Principale responsabile della frenatura di un kart in movimento, il disco freno è un componente semplice nel suo concetto di base ma, oggi, studiato fin nei minimi dettagli e realizzato con caratteristiche figlie di tecnologie e concezioni differenti
Ai giorni nostri, dici “disco freno” e pensi a un concentrato di tecnologia, realizzato con materiali d’avanguardia e seguendo progetti e simulazioni a computer. Tutto vero, eppure questa componente tanto moderna nasconde un’origine antichissima, che la leggenda fa risalire addirittura a qualche migliaio di anni fa. Si narra, infatti, che la prima applicazione del disco freno avvenne su un tornio verticale utilizzato per modellare i vasi e costituito, appunto, da un disco inferiore di grosse dimensioni, movimentato e frenato dalle piante dei piedi dell’uomo. Leggende, presumibilmente, ma quale che sia l’effettiva origine, il disco freno rimane, ancora oggi, il sistema più semplice ed efficace per dissipare l’energia cinetica di un mezzo in
movimento (sicuramente più efficiente del sistema “a tamburo”).
Anche il kart, dunque, non può prescindere da questo componente, montato sull’asse posteriore e, nei mezzi per le classi a marce, anche sulle due ruote anteriori. Naturalmente, per effettuare l’azione frenante, sul disco devono agire pastiglie e pinza, a sua volta comandata da una pompa idraulica azionata dalla pressione del piede del pilota sul pedale del freno.
L’energia cinetica del kart in movimento, calcolata secondo la formula vista sopra, è quella che deve essere dissipata sottoforma di attrito di contatto tra le pastiglie e il disco (e, quindi, venendo trasformata in calore), per arrestare il kart.
Il coefficiente di attrito (la forza applicata sul disco e i materiali di accoppiamento disco-pastiglie) varia in funzione della velocità di strisciamento e diminuisce man mano che si applica la pressione. Calore e attrito sollecitano l’impianto e portano all’usura sia delle pastiglie, sia del disco stesso, arrivando anche, a volte, a provocare deformazioni permanenti dei due componenti. Per evitare inconvenienti, è indispensabile la manutenzione. A partire dalla verifica che il disco sia dritto, da eseguire posizionando un comparatore sulle piste frenanti: ruotando il disco, l’oscillazione deve risultare inferiore a 0.1 mm, altrimenti va sostituito (la rettifica è sconsigliata in quanto si rischia di assottigliare troppo lo spessore, la cui misura minima solitamente è indicata sul disco stesso).
Per contrastare le sollecitazioni, nel progettare disco e pastiglie vanno curati in modo particolare geometrie, spessori e materiali. Riguardo questi ultimi, il più utilizzato per la realizzazione dei dischi è la ghisa, (ghisa grigia modulare o sferoidale, con durezza intorno ai 250 HB. Oppure ghisa bianca, molto più dura, ma fragile). In certi casi si può ricorrere anche a ghise speciali, per esempio la ghisa sferoidale tipo “GJS600”, la cui resistenza meccanica a trazione è tipica dell’acciaio (circa 600 N/mm2). Altro materiale indicato per i dischi da kart è l’acciaio inox della famiglia “AISI 400”, sul quale si può eseguire un trattamento di tempra per arrivare a una durezza intorno ai 50 HRC. L’acciaio inox si accoppia bene con le pastiglie sinterizzate (quelle di rame, ecc.), mentre per la ghisa sono più indicate le pastiglie di materiale organico (tradizionali, di colore nero).
Un altro parametro determinante nella scelta del disco è la fascia frenante, considerata sia nella sua forma, sia nell’ampiezza. La fascia frenante può avere fori, baffi, fresature diverse o, ancora, una forma “a margherita”.
Per dissipare maggiormente il calore della frenatura si ricorre a dischi ventilati. Questi sono ottenuti da fusione, attraverso un processo che prevede l’interposizione di un’anima, opportunamente disegnata, in sabbia e resina (per renderla più solida nella movimentazione di processo). Ciò scarica internamente il disco, creando delle alette che possono avere varie conformazioni. L’aria aspirata verso l’interno e proveniente dai lati viene mossa ed espulsa grazie all’effetto “ventola” radiale creato dalle alette interne durante la rotazione. Va sottolineato che la superficie di una fascia frenante in lavoro può superare i 600 °C di temperatura. Un disco in carbonio in F1 può superare i 1000 °C.
Nel karting, per contenere i costi, il regolamento vieta l’uso di questi materiali (si pensi che il processo di fabbricazione di un disco finito in carbonio ha una durata di mesi). Il regolamento vieta anche materiali speciali quali i carboceramici. In passato sono stati testati e impiegati anche dischi di alluminio con riporto di ceramica, o molibdeno, o altro, ottenuti con processi “flame spraying” o “plasma spraying”. Un disco di questo genere, grazie alla notevole leggerezza, era apprezzato per la massimizzazione della riduzione del momento giroscopico.
Il disco è un elemento molto sollecitato, sia dal calore, sia dalle spinte della pinza che possono non essere perfettamente equilibrate. per questo può arrivare a deformarsi in modo permanente. Il fenomeno ha inizio con la comparsa di una colorazione “azzurrata” sulle piste. Altra caratteristica di quasi tutti i dischi usati nel kart è di essere flottanti.