Ricerche frequenti
Risultato: per alcuni giorni successivi al mio ingresso in quel maledetto campo prova mi ero sentito come se avessi tentato di fermare un’Hummer con la forza del pensiero. Questa volta avevo rinunciato ai riferimenti alla terza età, visto che, per lo più, in kart ci corrono ragazzi che potrebbero essere miei pro-pronipoti. Però un “ecchesarammai…” me l’ero detto con una certa convinzione quando dalla Vortex mi hanno offerto la possibilità di provare un attrezzo di quelli che partecipano al monomarca Rok Cup. Dopotutto mi era già capitato un sacco di volte di giocarmi una ‘prosciutto&funghi’ con i colleghi su quei kart con motori da decespugliatore che ti noleggiano ovunque e credevo di sapere a cosa andavo incontro. Beh, stavolta l’Hummer che ho cercato di bloccare aveva le gomme chiodate, a giudicare da quanto mi fa male ogni parte innervata del mio corpo... I 30 CV circa del monocilindrico 125 by Vortex insieme ai 90 kg di un telaio completo vi faranno buttare nel WC il vostro concetto di inerzia, unitamente a tutto ciò che ne consegue. Uno come me che i kart li vede solo in foto non ci pensa che qui di sospensioni... neanche l’ombra! Quindi non c’è neanche qualche millisecondo di margine per capire che succede e cosa fare: quando voi pensate di sterzare, lui, il kart, lo sta già facendo da un pezzo. Per cui, se non tenete le ginocchia disperatamente strette al serbatoio montato sotto il volante, volate fuori dal sedile alla prima curva. E già da qui nascono primi ematomi, ai quali vanno poi ad aggiungersi quelli provocati dal sedile stretto e rigido che vi trasmette, amplificandole, tutte le sollecitazioni che possono provenire da una superficie asfaltata.
Giornalista di grande esperienza, specializzato nel settore auto e motori. È stato vicedirettore di Evo e direttore di Cambio, Panoramauto e Auto oggi. Ha collaborazioni con realtà come il Corriere della Sera, Gente Motori, AM, Autosprint
Intendiamoci: il suo dovere è proprio quello di essere fedele nell’informarvi di ciò che accade sotto le ruote, ma il rovescio della medaglia lo potete poi verificare sulla vostra epidermide e sulle vostre costole. Più o meno tutti i muscoli che avete (compresi quelli che mai avreste sospettato di possedere) sono contratti nel tentativo di restare ancorati a quei quattro tubi saldati insieme, ma, nel contempo, dovete raggiungere quel minimo di rilassatezza che vi permette di agire su volante, freno e acceleratore con una parvenza di sentimento. Come capita con ogni auto da corsa, più guidate sciolti, più la fatica fisica diminuisce. Con il kart, però, quando si raggiunge questa situazione psicofisica ideale, la fatica scende da un livello disumano a quello sovrumano, che è pur sempre un guadagno, ma da qui ad essere una passeggiata ce ne passa.
Dopo un po’, diciamo una decina di giri, tenere fermo il casco quando passate sui cordoli diventerà un problema, la concentrazione comincerà a fare acqua da tutte le parti e le vostre traiettorie inizieranno a divergere in modo preoccupante da quelle che fino a quel momento avevate cercato di seguire con ferrea perseveranza. L’appuntamento per la mia prova era presso il circuito di San Pancrazio: 1.154 metri che i kartisti conoscono bene (è il kardromo di Parma, pochi mesi prima che venisse chiuso e demolito n.d.r.).