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Può sembrare assurdo, ma è successo davvero. Tutta colpa di una folle sfida: scommettiamo di riuscire a portare due kart a correre per le strade di una città? Ecco il racconto,
a metà tra sogno e realtà, di come è andata
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I have a dream... Sbadiglio. Ma il torpore non va via. I have a dream... la frase rimbalza tra le pareti del casco che mi sembra di avere in testa, e io mi lascio cullare dal ritmo lento di queste parole. Mi piace, non voglio svegliarmi. Provo comunque a scrollare le spalle e inspirare l’aria dal naso, giusto per sentirmi vivo, ma la sensazione di essere in un limbo mi rimane appiccicata addosso, come una calzamaglia sotto la tuta che ha già perso la sua battaglia contro il freddo, penetrato tra le cuciture, dritto fin dentro le ossa. È strano sentire così freddo in un sogno. Ma non ci penso. I rumori della strada mi arrivano ovattati e il campo visivo è limitato dalla stretta fessura della visiera. Spingo il carrellino con il suo kart bianco-verde lungo le sconnessioni di un marciapiede poco illuminato, e cammino seguendo un’altra figura, un po’ più alta e con il casco più colorato del mio. Mi sembra sia stato lui a stringermi la mano guantata e lanciarmi la sfida: scommettiamo di portare due kart nel centro storico di una città e sfidarci tra case, vetrine, piazze e porfido sconnesso? Onestamente non ricordo di avergli detto di sì, perché la cosa mi suona un po’ folle.
Gli ultimi controlli prima di partire per una folle gara che mai si ripeterà.Leggi tutto
Notte. Le strade di una città. Due piloti che si avviano verso i kart, pronti a partire, appoggiati sul marciapiede.
è questo l’insolito scenario di una sfida tutta da raccontare.Leggi tutto
“SCOMMETTIAMO CHE PORTIAMO DUE KART NEL CENTRO STORICO DI UNA CITTÀ E CI SFIDIAMO TRA CASE, VETRINE, PIAZZE E PORFIDO SCONNESSO?”
D’altro canto i rumori annebbiati dall’imbottitura del casco mi suggeriscono che sia solo un sogno. E allora vado avanti, e va bene così. Va bene vedere gente indaffarata intorno a me; va bene sedermi sul sedile gelato e impugnare il volante come in automatico. Va bene che qualcuno mi spinga per farmi mettere in moto il motore, anche se il suono familiare del 125 a marce mi sembra maledettamente assordante mentre rimbalza tra i muri stretti delle case. Mi giro e vedo solo facce sorridenti: con il pollice alzato mi fanno segno che è tutto ok. Due ragazzi si fermano a fare una foto, lo sguardo incredulo di chi ha appena visto qualcosa di bello e fuoriposto come un leone ai giardinetti pubblici. Nel rumore che sale dal motore mi ritrovo a sobbalzare per un clacson alle mie spalle che buca il frastuono del kart in maniera inspiegabile. Dalle finestre affacciate sulla strada spuntano sguardi e pigiami, qualcuno scosta appena la tenda, qualcun’altro sfida il freddo e spalanca i vetri per non perdersi lo spettacolo imprevisto: se non sapessi che è un sogno, credo che scapperei via di qua; ma con un volante fra le mani e l’acceleratore sotto il piede destro, i miei gesti vanno in automatico. E se non faccio caso alla fioriera che sfiora la posteriore sinistra, ai cartelli stradali e ai ciottoli sconnessi che si riflettono nelle vetrine, potrei anche pensare di essere sulla griglia di partenza di un GP.
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