Gli sport possono essere divisi in tre categorie: quelli prettamente fisici, come ciclismo o maratona, con prestazioni muscolari estreme ma nei quali il cervello può anche essere “messo in parcheggio” per lunghi tratti. Quelli prettamente mentali, come il tiro al piattello, dove la prestazione fisica è minima ma l’impegno cerebrale (concentrazione, riflessi e controllo delle emozioni) è elevatissimo. Poi ci sono quelli misti, che uniscono esigenze muscolari e di attenzione: il motorsport, karting compreso, è sicuramente uno di questi. Il kart, in particolare, è uno sport dove i carichi fisici sono alti, ma comunque inferiori rispetto, per esempio, alla Formula 1, però ha anche dei tempi di recupero molto ridotti: sarebbe impensabile, per esempio, disputare una gara di alto livello che durasse un’ora e mezzo. Lo stesso si può dire dell’impegno mentale: grazie a molti anni di studi e dati raccolti con il centro Formula Medicine, abbiamo visto come nei giri nei quali è richiesta la massima prestazione, per esempio in qualifica, le pulsazioni dei piloti crescano di 15-20 battiti. L’impegno fisico è lo stesso dei giri precedenti, quella che cambia è la componente mentale, vera chiave per arrivare alla massima prestazione possibile. Nel kart, dove il contatto con gli avversari è ravvicinato e raramente si hanno “pause”, lo sforzo mentale è enorme, e anche per questo non sarebbe pensabile disputare gare più lunghe.
Per tanti anni la componente mentale nel motorsport è stata sottovalutata. Oggi sappiamo che è una parte fondamentale della prestazione, decisiva tanto quanto la preparazione fisica. Se non di più...